Ruolo dello zinco di SOD1 nella SLA
ROBERTO COLONNA & LORENZO L. BORGIA
NOTE E NOTIZIE - Anno XVIII – 29 maggio 2021.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia).
Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società,
la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste
e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE E SILLOGE INTRODUTTIVA]
L’enzima rame-zinco superossido dismutasi 1 (SOD1) nelle varianti che si aggregano
dando luogo ad un elemento importante nella patogenesi della sclerosi
laterale amiotrofica (SLA) rimane la molecola più studiata per la
comprensione della patogenesi di questa malattia, sia perché è responsabile del
maggior numero delle forme ereditarie, sia perché in alcuni modelli è stata
implicata anche nella patogenesi delle forme sporadiche[1]. Sono state
individuate e descritte 140 mutazioni di SOD1 associate alla SLA, ma la loro
stabilità o il loro comportamento di aggregazione nell’ambiente della membrana
non sono risultati in rapporto con la fisiopatologia della malattia.
Achinta Sannigrahi e colleghi, studiando numerose varianti
mutazionali di SOD1 hanno accertato che il comportamento dell’enzima non
risente dell’assenza di rame come si era creduto, ma della mancanza di zinco.
La mancanza di Zn ha infatti influenzato l’impatto sul legame alla membrana di
SOD1 attraverso due regioni a loop che facilitano l’aggregazione guidata
dai cambi conformazionali indotti dai lipidi.
(Sannigrahi A. et al., The metal
cofactor zinc and interacting membranes modulate SOD1 conformation-aggregation
landscape in an in vitro ALS model. Elife – Epub
ahead of print doi: 10.7554/eLife.61453, 2021).
La provenienza degli autori è la seguente: Structural
Biology & Bio-informatics Division, CSIR-Indian Institute of Chemical Biology,
Kolkata (India); Chemistry and Chemical Biology, Harvard University, Cambridge,
Massachusetts (USA); Academy of Scientific and Innovative Research (AcSIR), CSIR-Human Resource Development Centre Campus,
Ghaziabad (India); Hiralal Mazumdar Memorial College
for Women, Kolkata (India); Department of Physics, Jadavpur University, Kolkata
(India); School of Biological Sciences, NISER, Bhubaneswar (India).
Prima di descrivere il contenuto dello studio di Achinta Sannigrahi
e colleghi si propone qualche cenno storico[2] e poi una sintesi introduttiva
sulla patologia della SLA tratta da un nostro articolo precedente[3].
La prima descrizione della sclerosi laterale amiotrofica si
fa risalire a Charcot, che studiò con Joffroy gli
aspetti patologici di quel quadro clinico mai descritto in precedenza,
pubblicando un dettagliato resoconto nel 1869, e con Gombault,
come risulta dalla pubblicazione del 1871. In una serie di letture accademiche,
proposte fra il 1872 e il 1874, Charcot fornì un’esposizione accurata e
completa di tutto quanto era stato osservato e trovato su quella grave forma di
perdita progressiva della funzione muscolare. In Francia, la sindrome fu subito
chiamata Malattia di Charcot, ma il
neurologo e neuropatologo francese raccomandava la denominazione riassuntiva
dei tre aspetti salienti e diacritici: sclerosi
laterale amiotrofica. E con tale nome fu recepita dalla nosografia anglo-americana.
In precedenza, nel 1858, Duchenne aveva descritto una paralisi labioglossolaringea, denominazione
corretta da Wachsmuth nel 1864 in paralisi bulbare progressiva. Nel 1869
Charcot richiamò l’attenzione sull’origine nucleare della paralisi bulbare
progressiva, e nel 1882 Déjérine la mise in rapporto
con la Malattia di Charcot. La maggior parte degli autori attribuisce ad Aran e
Duchenne le prime descrizioni di atrofia muscolare progressiva di origine
spinale, ma questi casi clinici erano erroneamente attribuiti dai due neurologi
ad una patologia primariamente muscolare[4].
Fu Cruveilhier a notare per primo l’assottigliamento
delle radici motorie anteriori del midollo spinale nell’esame autoptico di
questi pazienti e a ricondurre a patologia del midollo spinale la conseguente
perdita di tono, trofismo e riflessi dei muscoli[5].
Questi cenni storici ci introducono
alla realtà clinica secondo i criteri nosografici attuali, che si basano sul
concetto di “malattia del motoneurone”. Tale definizione comprende un gruppo di
disturbi degenerativi progressivi che interessano le cellule nervose motorie
del midollo spinale, del tronco encefalico e della corteccia cerebrale, che si
manifestano con debolezza muscolare, atrofia e segni di lesione piramidale in
varia combinazione. Nel sistema nervoso centrale distinguiamo, in base ad un
criterio anatomo-clinico, un motoneurone
inferiore o spinale e un neurone motorio superiore collocato nei
segmenti più craniali del nevrasse: la patologia può riguardare solo il neurone
inferiore, come nel caso dell’atrofia
motoria spinale (AMS), solo il neurone superiore, come nella paraplegia ereditaria spastica (PES), o
entrambi, come nella SLA.
Anche se approssimativamente il 90%
dei casi di malattia del motoneurone è sporadico, ovvero non legato ad eredità
familiare, la massima parte della ricerca sulle cause si è concentrata sulle
forme familiari di SLA e AMS, identificando mutazioni causali in geni
specifici. Nelle forme autosomiche dominanti di SLA familiare, le proteine
mutanti acquisiscono spesso proprietà tossiche, che direttamente o
indirettamente interessano le funzioni del motoneurone, mentre nelle forme di
AMS, che sono autosomiche recessive, in genere manca la proteina funzionale
codificata dal gene mutante. Di seguito, si riportano alcune nozioni essenziali
emerse dalla ricerca sulle forme ereditarie di SLA, indicate in inglese con
l’acronimo invertito ALS (amyotrophic lateral sclerosis)[6].
Nel 5-10% dei casi di SLA familiare
(fALS) ad eredità autosomica dominante (ALS1) si
verificano mutazioni nel gene della metalloproteasi rame/zinco superossido dismutasi 1 (SOD1)[7].
Nella ALS2 delezioni autosomiche recessive sono state identificate nel gene
ALS2, che codifica l’Alsina, una proteina che regola
le GTPasi. Mutazioni in Dynactin p150glued sono state associate a casi ad eredità autosomica
dominante di malattia del motoneurone e possono, come varianti alleliche, agire
da fattori di rischio per la SLA. Nella ALS4, una rara forma giovanile
autosomica dominante, sono state descritte mutazioni nel gene SETX che codifica
la senataxina, che contiene un dominio DNA/RNA elicasi con omologie con altre proteine note per ruoli
nell’elaborazione dell’RNA. Sono state associate alla SLA anche VAPB, OPTN, VCP
e due geni implicati nel metabolismo dell’RNA: TDP43 e FUS. Individui omozigoti
per particolari aplotipi del promotore del VEGF
presentano un accresciuto rischio di SLA[8].
La prima descrizione della sclerosi laterale amiotrofica risale
a Charcot, che studiò con Joffroy gli aspetti
patologici di quel quadro clinico mai descritto in precedenza, pubblicando un
dettagliato resoconto nel 1869, e con Gombault, come
risulta dalla pubblicazione del 1871. In una serie di letture accademiche, proposte
fra il 1872 e il 1874, Charcot fornì un’esposizione accurata e completa di
tutto quanto era stato osservato e trovato su quella grave forma di perdita
progressiva della funzione muscolare. In Francia, la sindrome fu subito
chiamata Malattia di Charcot, ma il
neurologo e neuropatologo francese raccomandava la denominazione riassuntiva
dei tre aspetti salienti e diacritici: sclerosi
laterale amiotrofica. E con tale nome fu recepita dalla nosografia anglo-americana.
In precedenza, nel 1858, Duchenne aveva descritto una paralisi labioglossolaringea, denominazione
corretta da Wachsmuth nel 1864 in paralisi bulbare progressiva. Nel 1869 Charcot
richiamò l’attenzione sull’origine nucleare della paralisi bulbare progressiva,
e nel 1882 Déjérine la mise in rapporto con la
Malattia di Charcot. La maggior parte degli autori attribuisce ad Aran e
Duchenne le prime descrizioni di atrofia muscolare progressiva di origine
spinale, ma questi casi clinici erano erroneamente attribuiti dai due neurologi
ad una patologia primariamente muscolare[9].
Fu Cruveilhier a notare per primo l’assottigliamento
delle radici motorie anteriori del midollo spinale nell’esame autoptico di
questi pazienti e a ricondurre a patologia del midollo spinale la conseguente
perdita di tono, trofismo e riflessi dei muscoli[10].
Questi cenni storici ci introducono
alla realtà clinica secondo i criteri nosografici attuali, che si basano sul
concetto di “malattia del motoneurone”. Tale definizione comprende un gruppo di
disturbi degenerativi progressivi che interessano le cellule nervose motorie
del midollo spinale, del tronco encefalico e della corteccia cerebrale, che si
manifestano con debolezza muscolare, atrofia e segni di lesione piramidale in
varia combinazione. Nel sistema nervoso centrale distinguiamo, in base ad un
criterio anatomo-clinico, un motoneurone
inferiore o spinale e un neurone motorio superiore collocato nei
segmenti più craniali del nevrasse: la patologia può riguardare solo il neurone
inferiore, come nel caso dell’atrofia
motoria spinale (AMS), solo il neurone superiore, come nella paraplegia ereditaria spastica (PES), o
entrambi, come nella SLA.
Anche se approssimativamente il 90%
dei casi di malattia del motoneurone è sporadico, ovvero non legato ad eredità
familiare, la massima parte della ricerca sulle cause si è concentrata sulle
forme familiari di SLA e AMS, identificando mutazioni causali in geni
specifici. Nelle forme autosomiche dominanti di SLA familiare, le proteine
mutanti acquisiscono spesso proprietà tossiche, che direttamente o
indirettamente interessano le funzioni del motoneurone, mentre nelle forme di
AMS, che sono autosomiche recessive, in genere manca la proteina funzionale
codificata dal gene mutante. Di seguito, si riportano alcune nozioni essenziali
emerse dalla ricerca sulle forme ereditarie di SLA, indicate in inglese con
l’acronimo invertito ALS (amyotrophic lateral sclerosis)[11].
Nel 5-10% dei casi di SLA familiare
(fALS) ad eredità autosomica dominante (ALS1) si
verificano mutazioni nel gene della metalloproteasi rame/zinco superossido dismutasi 1 (SOD1)[12].
Nella ALS2 delezioni autosomiche recessive sono state identificate nel gene
ALS2, che codifica l’Alsina, una proteina che regola
le GTPasi. Mutazioni in Dynactin p150glued sono state associate a casi ad eredità autosomica
dominante di malattia del motoneurone e possono, come varianti alleliche, agire
da fattori di rischio per la SLA. Nella ALS4, una rara forma giovanile
autosomica dominante, sono state descritte mutazioni nel gene SETX che codifica
la senataxina, che contiene un dominio DNA/RNA elicasi con omologie con altre proteine note per ruoli
nell’elaborazione dell’RNA. Sono state associate alla SLA anche VAPB, OPTN, VCP
e due geni implicati nel metabolismo dell’RNA: TDP43 e FUS. Individui omozigoti
per particolari aplotipi del promotore del VEGF
presentano un accresciuto rischio di SLA[13].
Qui di seguito una differente sintesi introduttiva proposta in precedenza.
La sclerosi laterale amiotrofica (SLA o ALS nell’acronimo inglese), descritta per la prima
volta dal neurologo francese Jean-Martin Charcot nel 1869, è la forma più comune
di malattia del motoneurone dell’età adulta, che evolve rapidamente in pochi anni dall’insorgenza di
sintomi quali debolezza ingravescente degli arti, atrofia muscolare e
spasticità. L’atrofia e la paralisi muscolare sono la conseguenza della
degenerazione dei motoneuroni del midollo spinale
e del tronco encefalico, la cui
distruzione priva di tono, trofismo e riflessi i muscoli, compromettendo
progressivamente le abilità motorie degli arti, la fonoarticolazione
e la respirazione. La spasticità, che complica ed aggrava il quadro, è
conseguenza della perdita dei neuroni motori della corteccia cerebrale. Infatti, il
processo patologico interessa sia i motoneuroni
superiori, sia quelli inferiori
del sistema nervoso centrale, evolvendo attraverso una serie di stadi che
influenzano la dimensione, la forma, il contenuto, il metabolismo e la
fisiologia di queste cellule. Non si conoscono ancora le cause della SLA
sporadica, che riguarda il 90-95% delle persone colpite, mentre per i casi
familiari (5-10%) già in passato
sono stati descritti specifici mutanti
per almeno quattro forme ereditarie:
ALS1, associata a SOD1 (Bruijn et al., 2004; Bruijn et al., 1998; Bowling et al., 1995; Borchelt et al., 1994; Rosen et al., 1993),
ALS2 alla alsina
(Yamanaka et al., 2003; Hadano et al.,
2001; Yang et al., 2001), ALS4 alla senataxina (Chen et al.,
2004; Moreira et al., 2004), e un’ultima forma è stata messa in
relazione con una mutazione nel gene per una subunità della dinactina (Valee et al., 2004; Puls et al., 2003).
Nonostante la bassa incidenza delle forme familiari, lo studio su modelli
sperimentali di SLA ereditaria si sta rivelando molto importante per la
comprensione della patologia anche delle forme sporadiche.
Si stima che all’incirca il 15-20% dei pazienti
con forme ereditarie di tipo autosomico dominante, ossia circa il 2% di tutti i
casi di SLA, presenta mutazioni nel gene situato sul cromosoma 21 che codifica
l’enzima citosolico rame/zinco superossido dismutasi 1 o Cu/Zn SOD1 o
semplicemente SOD1, un polipeptide di 153 aminoacidi che, come omodimero,
catalizza la conversione di O2- in O2 e H2O2.
La malattia con questa eziologia è denominata sclerosi laterale
amiotrofica 1. Sono state descritte
più di 100 mutazioni di SOD1 (attualmente 140) in grado di causare forme
autosomico-dominanti; l’unica eccezione nota è l’omozigosi D90A SOD1, che è
ereditata come recessiva. Varie mutazioni, sparse lungo la struttura
molecolare e non concentrate in prossimità del sito attivo o dell’interfaccia
del dimero, conferiscono a questa metalloproteasi una o più funzioni
tossiche che compromettono l’integrità dei neuroni motori causando lo sviluppo
della degenerazione all’origine di forme familiari della SLA1.
Non è ancora stata definita la sequenza di eventi e meccanismi molecolari
che portano le forme mutate della metalloproteasi a causare il danno, così come
non è ancora stato stabilito perché sono colpiti solo i motoneuroni.
L’aggregazione e l’alterata conformazione (misfolding) sono stati implicati
nella patogenesi della malattia, secondo quanto emerso dagli studi condotti su
modelli animali e persone affette.
Brotherton e colleghi hanno impiegato un anticorpo monoclonale, C4F6, che
specificamente reagisce con forme mutanti o “misfolded”
di SOD1, per indagare la distribuzione regionale della proteina SOD1 mutante
nei tessuti dei roditori e di esseri umani.
Qui di seguito riportiamo anche l’introduzione a uno studio sul ruolo dei miRNA, in cui si ricorda anche l’associazione non casuale
con le attività sportive; la SLA era infatti chiamata negli USA “malattia di Lou Gherig”, e in Italia fra i
colpiti celebri si ricorda Stefano Borgonovo, l’arbitro Nuvoli, ma anche
sportivi non di carriera come Piergiorgio Welby e Luca Coscioni.
“La
sclerosi laterale amiotrofica (SLA), la forma più frequente di malattia del
motoneurone che interessa tanto la cellula di moto superiore quanto quella
inferiore nel sistema nervoso centrale, sta diventando una malattia di
riscontro comune fra i neurologi, con un tasso di incidenza annuale che varia
da 0,4 a 1,76 per 100.000 abitanti, e picchi di frequenza elevati per regioni o
per particolari categorie di attività, non ancora scientificamente riportati a
cause precise. In proposito, desidero notare che nell’ultima edizione dell’Adams and Victor’s
Principles of Neurology si
riporta specificamente l’elevata frequenza fra i calciatori professionisti
italiani, come esempio di maggiore concentrazione in una categoria lavorativa[14],
al quale si può avvicinare l’incostante riscontro di maggiore incidenza fra
militari in diverse regioni geografiche[15].
Basterebbero anche solo questi dati
epidemiologici, senza riferimenti alle particolarità neurobiologiche della
malattia, per giustificare l’interesse col quale la nostra società scientifica
segue da sempre gli sviluppi della ricerca in questo campo[16],
ed ora vuole proporre all’attenzione dei visitatori del sito un’esaustiva
rassegna di studi sul ruolo dei microRNA (miRNA)
nella SLA, realizzata da Cinzia Volonté con Apolloni e Parisi dell’Istituto di
Biologia Cellulare e Neurobiologia del CNR di Roma.
Ricordo che, quando nel 2010
pubblicammo la recensione di un lavoro che aveva identificato nel microRNA-206
(miR-206) una molecola in grado di rallentare la progressione della SLA e promuovere
la rigenerazione delle giunzioni neuromuscolari in modelli murini della
malattia, ricevemmo numerose comunicazioni di ringraziamento ed apprezzamento
da parte di molti che non avevano notizia di questa nuova direzione della
ricerca[17].
Oggi, mentre mi appresto a scrivere di questa rassegna, ho ricevuto conferma
che, a 5 anni di distanza, l’argomento non è ancora entrato nella maggior parte
delle aule universitarie in cui si insegna la patologia della SLA, rimanendo
confinato alle scrivanie prossime ai banchi di laboratorio.
Se l’inesorabile progressione
clinica dell’atrofia muscolare che porta a morte nella maggioranza dei casi
entro cinque anni dalla diagnosi è ben nota, l’eziologia non è conosciuta per
il 90% dei casi, costituito dalle forme sporadiche, e, in generale, la
patogenesi non è chiara, nonostante una considerevole mole di dati raccolti
sulla fisiopatologia e le alterazioni molecolari e cellulari presenti negli
ammalati e riprodotte dai modelli sperimentali. Proprio le evidenze emerse
dagli studi sui modelli murini della malattia, suggeriscono un meccanismo
patologico dipendente dalla cellula,
con l’attivo contributo di elementi cellulari diversi dai neuroni, quali
astrociti, microglia, fibrocellule muscolari e linfociti T, che in maniera
diversa partecipano alle varie fasi del processo ad evoluzione
neurodegenerativa. I miRNA sono considerati dei fini
regolatori delle reti genetiche, e la scoperta della partecipazione alla
biogenesi di miRNA delle proteine mutate nella SLA,
TDP43 e FUS/TLS, ha fortemente indicato la possibilità di un’alterazione della
regolazione da miRNA come meccanismo patogenetico di
questa malattia.
Pertanto, una notevole quantità di energia e di
impegno da parte di vari gruppi di ricerca in tutto il mondo è stata investita
per la comprensione del ruolo di queste piccole molecole di acido ribonucleico”[18].
Conclusa questa raccolta, che si spera possa essere utile soprattutto agli
studenti e a coloro che vogliano accostarsi allo studio di questa patologia,
ritorniamo al lavoro di Achinta Sannigrahi
e colleghi, oggetto della nostra recensione.
Come si diceva, sebbene siano state individuate e descritte 140 varianti
per mutazione di SOD1, la loro stabilità o la loro tendenza all’aggregazione
nell’ambiente della membrana non risultano correlate ai processi noti della
fisiopatologia della sclerosi amiotrofica. Sannigrahi e colleghi hanno impiegato
numerose varianti mutazionali di SOD1 per dimostrare che l’assenza di Zn e non
di Cu ha un impatto significativo sul legame alla membrana dell’enzima
attraverso due regioni a loop che facilitano l’aggregazione guidata dai
cambi conformazionali della macromolecola polipeptidica indotti dai lipidi.
Queste regioni a loop influenzano sia la funzione primaria,
attraverso l’assunzione di Cu, sia l’acquisizione di funzione – attraverso l’aggregazione
– di SOD1, presumibilmente mediante un prospetto conformazionale condiviso.
Gli autori hanno realizzato in vitro un “modello di associazione
alla membrana derivato da cofattori” nel quale lo stress mutazionale più
prossimo alla tasca dello Zn (e non a quella del Cu) è responsabile dell’aggregazione
tossica mediata dall’associazione alla membrana e del valore di scala del tempo
di sopravvivenza dopo la diagnosi di SLA.
Gli autori della nota ringraziano la dottoressa Isabella
Floriani per la correzione della bozza e invitano alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del
sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Roberto
Colonna & Lorenzo L. Borgia
BM&L-29 maggio 2021
________________________________________________________________________________
La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International
Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze,
Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come
organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Note e Notizie 30-10-10 Nella sclerosi laterale
amiotrofica (SLA) SOD1 normale e mutante condividono conformazione aberrante e
via patogenetica.
[2] Note e Notizie 17-10-15 MicroRNA
nella sclerosi laterale amiotrofica (SLA).
[3] Note e Notizie 31-03-12 Nella
sclerosi laterale amiotrofica (SLA) un anticorpo riconosce le forme tossiche di
SOD1.
[4] Di passaggio ricordiamo che, a
quel tempo, il rapporto fra nervo e muscolo non era ancora bene definito: nel
1869 Kühne, nelle sue pionieristiche osservazioni
microscopiche della giunzione neuromuscolare, afferma che il nervo non entra
mai nel cilindro contrattile; ma molti non vi danno credito e continuano a
supporre una continuità fra nervo e muscolo, simile a quelli che i reticolaristi (compreso lo stesso Freud) ipotizzano fra i
neuroni del cervello.
[5] Per questi cenni storici si
ringrazia la professoressa Monica Lanfredini.
[6] Per questi dati si ringraziano
le professoresse Diane Richmond e Nicole Cardon.
[7] In proposito, si ricordano gli
studi condotti dal gruppo di Lucia Banci presso il
Dipartimento di Chimica dell’Università di Firenze, e gli altri lavori su questo
argomento da noi recensiti (v. nella sezione “Note e Notizie”).
[8] È suggestivo che VEGF, una
citochina implicata nell’angiogenesi e deputata a molte altre funzioni, possa
giocare un ruolo come gene di suscettibilità per la SLA.
[9] Di passaggio ricordiamo che, a
quel tempo, il rapporto fra nervo e muscolo non era ancora bene definito: nel
1869 Kühne, nelle sue pionieristiche osservazioni
microscopiche della giunzione neuromuscolare, afferma che il nervo non entra mai
nel cilindro contrattile; ma molti non vi danno credito e continuano a supporre
una continuità fra nervo e muscolo, simile a quelli che i reticolaristi
(compreso lo stesso Freud) ipotizzano fra i neuroni del cervello.
[10] Per questi cenni storici si ringrazia
la professoressa Monica Lanfredini.
[11] Per questi dati si ringraziano
le professoresse Diane Richmond e Nicole Cardon.
[12] In proposito, si ricordano gli
studi condotti dal gruppo di Lucia Banci presso il
Dipartimento di Chimica dell’Università di Firenze, e gli altri lavori su questo
argomento da noi recensiti (v. nella sezione “Note e Notizie”).
[13] È suggestivo che VEGF, una
citochina implicata nell’angiogenesi e deputata a molte altre funzioni, possa
giocare un ruolo come gene di suscettibilità per la SLA.
[14] La menzione si basa su uno
studio di 10 anni fa: Chio A., et al.
Severely increased risk of amyotrophic lateral
sclerosis among Italian professional football players. Brain 128: 472, 2005. Cfr. Adams
and Victor’s Principles of Neurology (Ropper, Samuels, Klein), p. 1110, McGrawHill, 2014.
[15] Un addensamento per area
geografica drammaticamente elevato di pazienti di SLA è descritto nella
penisola giapponese di Kii e nel Guam, dove la SLA è
spesso associata a demenza e malattia di Parkinson.
[16] Nelle nostre “Note e Notizie” le
recensioni di studi sull’argomento sono numerose; in proposito, si suggerisce
agli studenti di scaricarle, stamparle e raccoglierle in un fascicolo che può
costituire un utile aggiornamento ad integrazione delle trattazioni che si trovano
nei testi adottati per i corsi universitari.
[17] Note e Notizie 06-02-10 Una scoperta che potrebbe incidere sulla cura
della SLA.
[18] Note e Notizie 17-10-15 MicroRNA
nella sclerosi laterale amiotrofica (SLA). Si consiglia
la lettura per i meccanismi dei microRNA.