Ruolo dello zinco di SOD1 nella SLA

 

 

ROBERTO COLONNA & LORENZO L. BORGIA

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XVIII – 29 maggio 2021.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE E SILLOGE INTRODUTTIVA]

 

L’enzima rame-zinco superossido dismutasi 1 (SOD1) nelle varianti che si aggregano dando luogo ad un elemento importante nella patogenesi della sclerosi laterale amiotrofica (SLA) rimane la molecola più studiata per la comprensione della patogenesi di questa malattia, sia perché è responsabile del maggior numero delle forme ereditarie, sia perché in alcuni modelli è stata implicata anche nella patogenesi delle forme sporadiche[1]. Sono state individuate e descritte 140 mutazioni di SOD1 associate alla SLA, ma la loro stabilità o il loro comportamento di aggregazione nell’ambiente della membrana non sono risultati in rapporto con la fisiopatologia della malattia.

Achinta Sannigrahi e colleghi, studiando numerose varianti mutazionali di SOD1 hanno accertato che il comportamento dell’enzima non risente dell’assenza di rame come si era creduto, ma della mancanza di zinco. La mancanza di Zn ha infatti influenzato l’impatto sul legame alla membrana di SOD1 attraverso due regioni a loop che facilitano l’aggregazione guidata dai cambi conformazionali indotti dai lipidi.

(Sannigrahi A. et al., The metal cofactor zinc and interacting membranes modulate SOD1 conformation-aggregation landscape in an in vitro ALS model. ElifeEpub ahead of print doi: 10.7554/eLife.61453, 2021).

La provenienza degli autori è la seguente: Structural Biology & Bio-informatics Division, CSIR-Indian Institute of Chemical Biology, Kolkata (India); Chemistry and Chemical Biology, Harvard University, Cambridge, Massachusetts (USA); Academy of Scientific and Innovative Research (AcSIR), CSIR-Human Resource Development Centre Campus, Ghaziabad (India); Hiralal Mazumdar Memorial College for Women, Kolkata (India); Department of Physics, Jadavpur University, Kolkata (India); School of Biological Sciences, NISER, Bhubaneswar (India).

Prima di descrivere il contenuto dello studio di Achinta Sannigrahi e colleghi si propone qualche cenno storico[2] e poi una sintesi introduttiva sulla patologia della SLA tratta da un nostro articolo precedente[3].

La prima descrizione della sclerosi laterale amiotrofica si fa risalire a Charcot, che studiò con Joffroy gli aspetti patologici di quel quadro clinico mai descritto in precedenza, pubblicando un dettagliato resoconto nel 1869, e con Gombault, come risulta dalla pubblicazione del 1871. In una serie di letture accademiche, proposte fra il 1872 e il 1874, Charcot fornì un’esposizione accurata e completa di tutto quanto era stato osservato e trovato su quella grave forma di perdita progressiva della funzione muscolare. In Francia, la sindrome fu subito chiamata Malattia di Charcot, ma il neurologo e neuropatologo francese raccomandava la denominazione riassuntiva dei tre aspetti salienti e diacritici: sclerosi laterale amiotrofica. E con tale nome fu recepita dalla nosografia anglo-americana. In precedenza, nel 1858, Duchenne aveva descritto una paralisi labioglossolaringea, denominazione corretta da Wachsmuth nel 1864 in paralisi bulbare progressiva. Nel 1869 Charcot richiamò l’attenzione sull’origine nucleare della paralisi bulbare progressiva, e nel 1882 Déjérine la mise in rapporto con la Malattia di Charcot. La maggior parte degli autori attribuisce ad Aran e Duchenne le prime descrizioni di atrofia muscolare progressiva di origine spinale, ma questi casi clinici erano erroneamente attribuiti dai due neurologi ad una patologia primariamente muscolare[4]. Fu Cruveilhier a notare per primo l’assottigliamento delle radici motorie anteriori del midollo spinale nell’esame autoptico di questi pazienti e a ricondurre a patologia del midollo spinale la conseguente perdita di tono, trofismo e riflessi dei muscoli[5].

Questi cenni storici ci introducono alla realtà clinica secondo i criteri nosografici attuali, che si basano sul concetto di “malattia del motoneurone”. Tale definizione comprende un gruppo di disturbi degenerativi progressivi che interessano le cellule nervose motorie del midollo spinale, del tronco encefalico e della corteccia cerebrale, che si manifestano con debolezza muscolare, atrofia e segni di lesione piramidale in varia combinazione. Nel sistema nervoso centrale distinguiamo, in base ad un criterio anatomo-clinico, un motoneurone inferiore o spinale e un neurone motorio superiore collocato nei segmenti più craniali del nevrasse: la patologia può riguardare solo il neurone inferiore, come nel caso dell’atrofia motoria spinale (AMS), solo il neurone superiore, come nella paraplegia ereditaria spastica (PES), o entrambi, come nella SLA.

Anche se approssimativamente il 90% dei casi di malattia del motoneurone è sporadico, ovvero non legato ad eredità familiare, la massima parte della ricerca sulle cause si è concentrata sulle forme familiari di SLA e AMS, identificando mutazioni causali in geni specifici. Nelle forme autosomiche dominanti di SLA familiare, le proteine mutanti acquisiscono spesso proprietà tossiche, che direttamente o indirettamente interessano le funzioni del motoneurone, mentre nelle forme di AMS, che sono autosomiche recessive, in genere manca la proteina funzionale codificata dal gene mutante. Di seguito, si riportano alcune nozioni essenziali emerse dalla ricerca sulle forme ereditarie di SLA, indicate in inglese con l’acronimo invertito ALS (amyotrophic lateral sclerosis)[6].

Nel 5-10% dei casi di SLA familiare (fALS) ad eredità autosomica dominante (ALS1) si verificano mutazioni nel gene della metalloproteasi rame/zinco superossido dismutasi 1 (SOD1)[7]. Nella ALS2 delezioni autosomiche recessive sono state identificate nel gene ALS2, che codifica l’Alsina, una proteina che regola le GTPasi. Mutazioni in Dynactin p150glued sono state associate a casi ad eredità autosomica dominante di malattia del motoneurone e possono, come varianti alleliche, agire da fattori di rischio per la SLA. Nella ALS4, una rara forma giovanile autosomica dominante, sono state descritte mutazioni nel gene SETX che codifica la senataxina, che contiene un dominio DNA/RNA elicasi con omologie con altre proteine note per ruoli nell’elaborazione dell’RNA. Sono state associate alla SLA anche VAPB, OPTN, VCP e due geni implicati nel metabolismo dell’RNA: TDP43 e FUS. Individui omozigoti per particolari aplotipi del promotore del VEGF presentano un accresciuto rischio di SLA[8].

La prima descrizione della sclerosi laterale amiotrofica risale a Charcot, che studiò con Joffroy gli aspetti patologici di quel quadro clinico mai descritto in precedenza, pubblicando un dettagliato resoconto nel 1869, e con Gombault, come risulta dalla pubblicazione del 1871. In una serie di letture accademiche, proposte fra il 1872 e il 1874, Charcot fornì un’esposizione accurata e completa di tutto quanto era stato osservato e trovato su quella grave forma di perdita progressiva della funzione muscolare. In Francia, la sindrome fu subito chiamata Malattia di Charcot, ma il neurologo e neuropatologo francese raccomandava la denominazione riassuntiva dei tre aspetti salienti e diacritici: sclerosi laterale amiotrofica. E con tale nome fu recepita dalla nosografia anglo-americana. In precedenza, nel 1858, Duchenne aveva descritto una paralisi labioglossolaringea, denominazione corretta da Wachsmuth nel 1864 in paralisi bulbare progressiva. Nel 1869 Charcot richiamò l’attenzione sull’origine nucleare della paralisi bulbare progressiva, e nel 1882 Déjérine la mise in rapporto con la Malattia di Charcot. La maggior parte degli autori attribuisce ad Aran e Duchenne le prime descrizioni di atrofia muscolare progressiva di origine spinale, ma questi casi clinici erano erroneamente attribuiti dai due neurologi ad una patologia primariamente muscolare[9]. Fu Cruveilhier a notare per primo l’assottigliamento delle radici motorie anteriori del midollo spinale nell’esame autoptico di questi pazienti e a ricondurre a patologia del midollo spinale la conseguente perdita di tono, trofismo e riflessi dei muscoli[10].

Questi cenni storici ci introducono alla realtà clinica secondo i criteri nosografici attuali, che si basano sul concetto di “malattia del motoneurone”. Tale definizione comprende un gruppo di disturbi degenerativi progressivi che interessano le cellule nervose motorie del midollo spinale, del tronco encefalico e della corteccia cerebrale, che si manifestano con debolezza muscolare, atrofia e segni di lesione piramidale in varia combinazione. Nel sistema nervoso centrale distinguiamo, in base ad un criterio anatomo-clinico, un motoneurone inferiore o spinale e un neurone motorio superiore collocato nei segmenti più craniali del nevrasse: la patologia può riguardare solo il neurone inferiore, come nel caso dell’atrofia motoria spinale (AMS), solo il neurone superiore, come nella paraplegia ereditaria spastica (PES), o entrambi, come nella SLA.

Anche se approssimativamente il 90% dei casi di malattia del motoneurone è sporadico, ovvero non legato ad eredità familiare, la massima parte della ricerca sulle cause si è concentrata sulle forme familiari di SLA e AMS, identificando mutazioni causali in geni specifici. Nelle forme autosomiche dominanti di SLA familiare, le proteine mutanti acquisiscono spesso proprietà tossiche, che direttamente o indirettamente interessano le funzioni del motoneurone, mentre nelle forme di AMS, che sono autosomiche recessive, in genere manca la proteina funzionale codificata dal gene mutante. Di seguito, si riportano alcune nozioni essenziali emerse dalla ricerca sulle forme ereditarie di SLA, indicate in inglese con l’acronimo invertito ALS (amyotrophic lateral sclerosis)[11].

Nel 5-10% dei casi di SLA familiare (fALS) ad eredità autosomica dominante (ALS1) si verificano mutazioni nel gene della metalloproteasi rame/zinco superossido dismutasi 1 (SOD1)[12]. Nella ALS2 delezioni autosomiche recessive sono state identificate nel gene ALS2, che codifica l’Alsina, una proteina che regola le GTPasi. Mutazioni in Dynactin p150glued sono state associate a casi ad eredità autosomica dominante di malattia del motoneurone e possono, come varianti alleliche, agire da fattori di rischio per la SLA. Nella ALS4, una rara forma giovanile autosomica dominante, sono state descritte mutazioni nel gene SETX che codifica la senataxina, che contiene un dominio DNA/RNA elicasi con omologie con altre proteine note per ruoli nell’elaborazione dell’RNA. Sono state associate alla SLA anche VAPB, OPTN, VCP e due geni implicati nel metabolismo dell’RNA: TDP43 e FUS. Individui omozigoti per particolari aplotipi del promotore del VEGF presentano un accresciuto rischio di SLA[13].

Qui di seguito una differente sintesi introduttiva proposta in precedenza.

La sclerosi laterale amiotrofica (SLA o ALS nell’acronimo inglese), descritta per la prima volta dal neurologo francese Jean-Martin Charcot nel 1869, è la forma più comune di malattia del motoneurone dell’età adulta, che evolve rapidamente in pochi anni dall’insorgenza di sintomi quali debolezza ingravescente degli arti, atrofia muscolare e spasticità. L’atrofia e la paralisi muscolare sono la conseguenza della degenerazione dei motoneuroni del midollo spinale e del tronco encefalico, la cui distruzione priva di tono, trofismo e riflessi i muscoli, compromettendo progressivamente le abilità motorie degli arti, la fonoarticolazione e la respirazione. La spasticità, che complica ed aggrava il quadro, è conseguenza della perdita dei neuroni motori della corteccia cerebrale. Infatti, il processo patologico interessa sia i motoneuroni superiori, sia quelli inferiori del sistema nervoso centrale, evolvendo attraverso una serie di stadi che influenzano la dimensione, la forma, il contenuto, il metabolismo e la fisiologia di queste cellule. Non si conoscono ancora le cause della SLA sporadica, che riguarda il 90-95% delle persone colpite, mentre per i casi familiari (5-10%) già in passato sono stati descritti specifici mutanti per almeno quattro forme ereditarie: ALS1, associata a SOD1 (Bruijn et al., 2004; Bruijn et al., 1998; Bowling et al., 1995; Borchelt et al., 1994; Rosen et al., 1993), ALS2 alla alsina (Yamanaka et al., 2003; Hadano et al., 2001; Yang et al., 2001), ALS4 alla senataxina (Chen et al., 2004; Moreira et al., 2004), e un’ultima forma è stata messa in relazione con una mutazione nel gene per una subunità della dinactina (Valee et al., 2004; Puls et al., 2003). Nonostante la bassa incidenza delle forme familiari, lo studio su modelli sperimentali di SLA ereditaria si sta rivelando molto importante per la comprensione della patologia anche delle forme sporadiche.

Si stima che all’incirca il 15-20% dei pazienti con forme ereditarie di tipo autosomico dominante, ossia circa il 2% di tutti i casi di SLA, presenta mutazioni nel gene situato sul cromosoma 21 che codifica l’enzima citosolico rame/zinco superossido dismutasi 1 o Cu/Zn SOD1 o semplicemente SOD1, un polipeptide di 153 aminoacidi che, come omodimero, catalizza la conversione di O2- in O2 e H2O2. La malattia con questa eziologia è denominata sclerosi laterale amiotrofica 1. Sono state descritte più di 100 mutazioni di SOD1 (attualmente 140) in grado di causare forme autosomico-dominanti; l’unica eccezione nota è l’omozigosi D90A SOD1, che è ereditata come recessiva. Varie mutazioni, sparse lungo la struttura molecolare e non concentrate in prossimità del sito attivo o dell’interfaccia del dimero, conferiscono a questa metalloproteasi una o più funzioni tossiche che compromettono l’integrità dei neuroni motori causando lo sviluppo della degenerazione all’origine di forme familiari della SLA1.

Non è ancora stata definita la sequenza di eventi e meccanismi molecolari che portano le forme mutate della metalloproteasi a causare il danno, così come non è ancora stato stabilito perché sono colpiti solo i motoneuroni. L’aggregazione e l’alterata conformazione (misfolding) sono stati implicati nella patogenesi della malattia, secondo quanto emerso dagli studi condotti su modelli animali e persone affette.

Brotherton e colleghi hanno impiegato un anticorpo monoclonale, C4F6, che specificamente reagisce con forme mutanti o “misfolded” di SOD1, per indagare la distribuzione regionale della proteina SOD1 mutante nei tessuti dei roditori e di esseri umani.

Qui di seguito riportiamo anche l’introduzione a uno studio sul ruolo dei miRNA, in cui si ricorda anche l’associazione non casuale con le attività sportive; la SLA era infatti chiamata negli USA “malattia di Lou Gherig”, e in Italia fra i colpiti celebri si ricorda Stefano Borgonovo, l’arbitro Nuvoli, ma anche sportivi non di carriera come Piergiorgio Welby e Luca Coscioni.

La sclerosi laterale amiotrofica (SLA), la forma più frequente di malattia del motoneurone che interessa tanto la cellula di moto superiore quanto quella inferiore nel sistema nervoso centrale, sta diventando una malattia di riscontro comune fra i neurologi, con un tasso di incidenza annuale che varia da 0,4 a 1,76 per 100.000 abitanti, e picchi di frequenza elevati per regioni o per particolari categorie di attività, non ancora scientificamente riportati a cause precise. In proposito, desidero notare che nell’ultima edizione dell’Adams and Victor’s Principles of Neurology si riporta specificamente l’elevata frequenza fra i calciatori professionisti italiani, come esempio di maggiore concentrazione in una categoria lavorativa[14], al quale si può avvicinare l’incostante riscontro di maggiore incidenza fra militari in diverse regioni geografiche[15].

Basterebbero anche solo questi dati epidemiologici, senza riferimenti alle particolarità neurobiologiche della malattia, per giustificare l’interesse col quale la nostra società scientifica segue da sempre gli sviluppi della ricerca in questo campo[16], ed ora vuole proporre all’attenzione dei visitatori del sito un’esaustiva rassegna di studi sul ruolo dei microRNA (miRNA) nella SLA, realizzata da Cinzia Volonté con Apolloni e Parisi dell’Istituto di Biologia Cellulare e Neurobiologia del CNR di Roma.

Ricordo che, quando nel 2010 pubblicammo la recensione di un lavoro che aveva identificato nel microRNA-206 (miR-206) una molecola in grado di rallentare la progressione della SLA e promuovere la rigenerazione delle giunzioni neuromuscolari in modelli murini della malattia, ricevemmo numerose comunicazioni di ringraziamento ed apprezzamento da parte di molti che non avevano notizia di questa nuova direzione della ricerca[17]. Oggi, mentre mi appresto a scrivere di questa rassegna, ho ricevuto conferma che, a 5 anni di distanza, l’argomento non è ancora entrato nella maggior parte delle aule universitarie in cui si insegna la patologia della SLA, rimanendo confinato alle scrivanie prossime ai banchi di laboratorio.

Se l’inesorabile progressione clinica dell’atrofia muscolare che porta a morte nella maggioranza dei casi entro cinque anni dalla diagnosi è ben nota, l’eziologia non è conosciuta per il 90% dei casi, costituito dalle forme sporadiche, e, in generale, la patogenesi non è chiara, nonostante una considerevole mole di dati raccolti sulla fisiopatologia e le alterazioni molecolari e cellulari presenti negli ammalati e riprodotte dai modelli sperimentali. Proprio le evidenze emerse dagli studi sui modelli murini della malattia, suggeriscono un meccanismo patologico dipendente dalla cellula, con l’attivo contributo di elementi cellulari diversi dai neuroni, quali astrociti, microglia, fibrocellule muscolari e linfociti T, che in maniera diversa partecipano alle varie fasi del processo ad evoluzione neurodegenerativa. I miRNA sono considerati dei fini regolatori delle reti genetiche, e la scoperta della partecipazione alla biogenesi di miRNA delle proteine mutate nella SLA, TDP43 e FUS/TLS, ha fortemente indicato la possibilità di un’alterazione della regolazione da miRNA come meccanismo patogenetico di questa malattia.

Pertanto, una notevole quantità di energia e di impegno da parte di vari gruppi di ricerca in tutto il mondo è stata investita per la comprensione del ruolo di queste piccole molecole di acido ribonucleico[18].

Conclusa questa raccolta, che si spera possa essere utile soprattutto agli studenti e a coloro che vogliano accostarsi allo studio di questa patologia, ritorniamo al lavoro di Achinta Sannigrahi e colleghi, oggetto della nostra recensione.

Come si diceva, sebbene siano state individuate e descritte 140 varianti per mutazione di SOD1, la loro stabilità o la loro tendenza all’aggregazione nell’ambiente della membrana non risultano correlate ai processi noti della fisiopatologia della sclerosi amiotrofica. Sannigrahi e colleghi hanno impiegato numerose varianti mutazionali di SOD1 per dimostrare che l’assenza di Zn e non di Cu ha un impatto significativo sul legame alla membrana dell’enzima attraverso due regioni a loop che facilitano l’aggregazione guidata dai cambi conformazionali della macromolecola polipeptidica indotti dai lipidi.

Queste regioni a loop influenzano sia la funzione primaria, attraverso l’assunzione di Cu, sia l’acquisizione di funzione – attraverso l’aggregazione – di SOD1, presumibilmente mediante un prospetto conformazionale condiviso.

Gli autori hanno realizzato in vitro un “modello di associazione alla membrana derivato da cofattori” nel quale lo stress mutazionale più prossimo alla tasca dello Zn (e non a quella del Cu) è responsabile dell’aggregazione tossica mediata dall’associazione alla membrana e del valore di scala del tempo di sopravvivenza dopo la diagnosi di SLA.

 

Gli autori della nota ringraziano la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invitano alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Roberto Colonna & Lorenzo L. Borgia

BM&L-29 maggio 2021

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Note e Notizie 30-10-10 Nella sclerosi laterale amiotrofica (SLA) SOD1 normale e mutante condividono conformazione aberrante e via patogenetica.

[2] Note e Notizie 17-10-15 MicroRNA nella sclerosi laterale amiotrofica (SLA).

[3] Note e Notizie 31-03-12 Nella sclerosi laterale amiotrofica (SLA) un anticorpo riconosce le forme tossiche di SOD1.

[4] Di passaggio ricordiamo che, a quel tempo, il rapporto fra nervo e muscolo non era ancora bene definito: nel 1869 Kühne, nelle sue pionieristiche osservazioni microscopiche della giunzione neuromuscolare, afferma che il nervo non entra mai nel cilindro contrattile; ma molti non vi danno credito e continuano a supporre una continuità fra nervo e muscolo, simile a quelli che i reticolaristi (compreso lo stesso Freud) ipotizzano fra i neuroni del cervello.

[5] Per questi cenni storici si ringrazia la professoressa Monica Lanfredini.

[6] Per questi dati si ringraziano le professoresse Diane Richmond e Nicole Cardon.

[7] In proposito, si ricordano gli studi condotti dal gruppo di Lucia Banci presso il Dipartimento di Chimica dell’Università di Firenze, e gli altri lavori su questo argomento da noi recensiti (v. nella sezione “Note e Notizie”).

[8] È suggestivo che VEGF, una citochina implicata nell’angiogenesi e deputata a molte altre funzioni, possa giocare un ruolo come gene di suscettibilità per la SLA.

[9] Di passaggio ricordiamo che, a quel tempo, il rapporto fra nervo e muscolo non era ancora bene definito: nel 1869 Kühne, nelle sue pionieristiche osservazioni microscopiche della giunzione neuromuscolare, afferma che il nervo non entra mai nel cilindro contrattile; ma molti non vi danno credito e continuano a supporre una continuità fra nervo e muscolo, simile a quelli che i reticolaristi (compreso lo stesso Freud) ipotizzano fra i neuroni del cervello.

[10] Per questi cenni storici si ringrazia la professoressa Monica Lanfredini.

[11] Per questi dati si ringraziano le professoresse Diane Richmond e Nicole Cardon.

[12] In proposito, si ricordano gli studi condotti dal gruppo di Lucia Banci presso il Dipartimento di Chimica dell’Università di Firenze, e gli altri lavori su questo argomento da noi recensiti (v. nella sezione “Note e Notizie”).

[13] È suggestivo che VEGF, una citochina implicata nell’angiogenesi e deputata a molte altre funzioni, possa giocare un ruolo come gene di suscettibilità per la SLA.

[14] La menzione si basa su uno studio di 10 anni fa: Chio A., et al. Severely increased risk of amyotrophic lateral sclerosis among Italian professional football players. Brain 128: 472, 2005. Cfr. Adams and Victor’s Principles of Neurology (Ropper, Samuels, Klein), p. 1110, McGrawHill, 2014.

[15] Un addensamento per area geografica drammaticamente elevato di pazienti di SLA è descritto nella penisola giapponese di Kii e nel Guam, dove la SLA è spesso associata a demenza e malattia di Parkinson.

[16] Nelle nostre “Note e Notizie” le recensioni di studi sull’argomento sono numerose; in proposito, si suggerisce agli studenti di scaricarle, stamparle e raccoglierle in un fascicolo che può costituire un utile aggiornamento ad integrazione delle trattazioni che si trovano nei testi adottati per i corsi universitari.

[17] Note e Notizie 06-02-10 Una scoperta che potrebbe incidere sulla cura della SLA.

[18] Note e Notizie 17-10-15 MicroRNA nella sclerosi laterale amiotrofica (SLA). Si consiglia la lettura per i meccanismi dei microRNA.